Giornalista, inviata di guerra freelance, si occupa soprattutto di Medio Oriente.Ha seguito la seconda Intifada, i conflitti in Kashmir, Afghanistan, Haiti e Iraq. Nei suoi reportage combina la cronaca con la denuncia dei crimini contro l’umanità. Ha scritto con passione per quasi tutti i giornali italiani vincendo per la sua rinomata professionalità e bravura il premio Luchetta, Antonio Russo, Italian Women in The World, il premio Maria Grazia Cutuli e altri ancora. E’ appena uscito il suo ultimo libro, La guerra Dentro (le emozioni dei soldati)
Come hai dichiarato in altre interviste, sappiamo che volevi sin da piccola fare l’inviata di guerra; da dove nasce questa passione e come la vive la tua famiglia?
Fare l’inviata era il mio sogno fin da piccola. Ho sempre amato leggere, viaggiare, cercare di capire, ma soprattutto mi colpiva la violenza, la guerra, le ingiustizie. Mia madre, americana, fin da piccola mi raccontava dell’apartheid in sud Africa, delle difficoltà degli afroamericani in America, mi appassionavano le storie di lotta e di libertà. E avere la possibilità di raccontarle oggi non ha prezzo. Detto questo, non significa che i miei abbiano fatto i salti di gioia quando ho detto che mi sarei trasferita in Israele, o che partivo per l’Afghanistan o per l’Iraq, ma col tempo hanno capito che fare il lavoro che amavo mi rendeva felice, nonostante fosse rischioso. E che altro può volere un genitore, se non che il proprio figlio sia felice?
Tu con il tuo lavoro stai contribuendo a scrivere le pagine della storia vera sui conflitti di questi ultimi anni. Che cosa è la guerra?
La guerra è morte, fango, puzza di corpi bruciati, intestini sparsi. E’ paura, mancanza di sicurezza, è il fallimento della politica. Ma è anche il posto dove la gente lotta, tira fuori il peggio o il meglio di sé. Dove ci si stringe sotto il suono delle bombe, dove non ci sono differenze.
I militari italiani, come mediatori di pace, sono in Libano da oltre 30 anni, 20 in Bosnia, 14 in Kosovo e Afghanistan da 10 anni; quale è la tua opinione in merito? I militari in missione non sono mediatori di pace. Sono guardiani come nel caso del Libano, sono militari in guerra in Afghanistan, e sono sempre uno strumento della politica. E sono anche esseri umani, con delle emozioni, con dei ricordi, con dei pensieri che spesso non si conoscono. Quando in un paese un militare italiano o di qualsiasi nazione, deve girare armato per mantenere la sicurezza non c’è pace. E di sicuro non sono loro a portarla. Ma fanno delle cose importanti, aiutano la gente, mantengono la sicurezza, fanno quello che uno stato autonomo dovrebbe fare da solo ed evidentemente non ce la fa.
In questi giorni il mondo è in ansia per le decisioni del presidente Obama e del consiglio di sicurezza dell’Onu sul conflitto in Siria, cosa immagini che accadrà?
Attaccare alcune basi militari in Siria, non è la soluzione del problema. Obama, come i suoi predecessori, farà l’ennesimo errore. La presunzione americana di essere gli sceriffi del mondo è sgradevole. Detto questo, nessuno Stato dovrebbe poter uccidere i propri cittadini. Ma non si aspetta uno sbuffo di gas per intervenire. Sono già morte migliaia di persone e visto che sono state colpite dai proiettili, va bene che siano morte? Il problema è molto più grande, come lo era in Iraq. E’ molto più complicato. La comunità internazionale dovrebbe studiare un modo diverso per fare pressione su una leadership. Non spetta a me suggerire le soluzioni, ma credo che distruggere qualche arsenale siriano non serve a niente, se si vuole salvare la gente. Continueranno a morire se non si interviene con intelligenza e conoscenza.
Vista la tua grande professionalità ed esperienza, cosa consiglieresti a chi volesse intraprendere questo mestiere ?
Di cambiare paese. Di fuggire il più velocemente possibile. Ormai il giornalismo italiano è saturo. Troppi raccomandati, troppi giovani disposti a farsi pagare due lire, nessun filtro qualitativo. Non si può fare questo lavoro come dovrebbe essere fatto, qui. Purtroppo, e lo dico con tristezza, ci vorrebbe una rivoluzione, perché le cose migliorino, anche qui.
Ringraziandoti per aver accettato l’intervista del mese di settembre, ti chiediamo a seguito della pubblicazione del tuo terzo libro ” La Guerra Dentro ” dove racconti le emozioni di dieci soldati italiani e di come cambia la loro vita dopo aver vissuto la guerra, cosa ti ha colpito maggiormente in queste storie e soprattutto quale è la Tua guerra dentro?
Stimo tutti i protagonisti del libro naturalmente, ma se devo scegliere un preferito, direi che l’artificiere mi ha stregata. Era un concentrato di logica, emozioni, dolcezza, durezza. L’idea sola di poter prendere un ordigno e disinnescarlo salvando la vita delle persone è di un fascino incontenibile. Mi hanno permesso di vedere il loro coraggio di fronte alle difficoltà, la loro rabbia di fronte, soprattutto alla burocrazia, le loro nostalgie. Capire cosa prova un ragazzo che viene ferito e crede di non farcela, o un generale che deve annunciare che ci sono dei caduti. Le emozioni che si vivono in guerra sono, a volte così forti, che non possono che cambiarti. La mia guerra? Continuare ad avere la possibilità di raccontarla, di esserci, di spiegare quanto siamo fortunati a poterla leggere e non viverla.
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Edmondo Papanice
Ufficio Comunicazione di HALP