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Prima Intervista del mese – giugno – Antonino Santomartino

Pubblicitario, si occupa in particolare di corporate identity, comunicazione e raccolta fondi per le organizzazioni non profit. È uno dei direttori creativi dello Studio Idea Comunicazione di Roma. Iscritto all’Associazione Italiana Pubblicitari Professionisti – TP dal 1999, ha la delega ai rapporti col terzo settore. Ha curato corporate e campagne per numerose organizzazioni non profit, tra cui il Forum Nazionale del Terzo Settore che per primo ha adottato il modello del Progetto di identità visiva. Da oltre vent’anni impegnato nel volontariato, nella cooperazione allo sviluppo e nel terzo settore, è attualmente nel consiglio nazionale della Focsiv e dell’Associazione ONG Italiane.

Sig. Santomartino benvenuto come primo ospite nella rubrica mensile di HALP. Siccome lei è impegnato  da oltre vent’anni nel terzo settore, vorremmo sapere come è nata questa passione e quale messaggio si sente di dare ai giovani che vogliono avvicinarsi al no profit.

Ho cominciato ad impegnarmi in attività di carattere sociale sin da ragazzo, prima nella parrocchia del quartiere dove abitavo e poi nel Movimento di Azione Cattolica (per chi lo ricorda, il MSAC), appena giunto al Liceo. Da lì non ho più smesso. Ho proseguito in alcune associazioni che si occupavano di promozione culturale e di lotta alla camorra per poi occuparmi dal 1994 di cooperazione internazionale, prima con il Centro universitario, poi con la CPS di Castellammare di Stabia e infine in Focsiv. Non so dire quindi precisamente come è nata questa passione, posso dire (e non so se è un bene) che sono stato sempre così e – citando la vignetta di Altan che ho fatto “mia” – non sono mai riuscito ad essere indifferente (anche se, confesso, che qualche volta mi sono anche impegnato). Perciò mi muovo costantemente tra pubblicità e terzo settore, tra creatività e mediazione, tra mercato e cooperazione, sempre a costruire relazioni.

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Un messaggio da dare ai giovani è una cosa molto delicata, soprattutto in poche battute.

Provo a dire quello che ho fatto io (sperando di aver fatto bene): occuparmi sempre di ciò che mi accade intorno, sentirmi parte attiva dei contesti in cui ho vissuto, sentirmi cittadino del mondo, per contribuire a dare risposte concrete e adeguate a chi ne ha bisogno e per contribuire allo sviluppo del futuro della collettività (a partire dal paesino dove si vive per finire alla comunità mondiale). Se poi questo impegno lo svolgiamo in quelle che la Costituzione chiama le formazioni sociali (bellissimo il passaggio che la Carta fa dicendo che in esse l’uomo “svolge la sua personalità”) e che noi definiamo organizzazioni della società civile, è ancora meglio perché stare a contatto con le persone e lavorare in gruppo ci arricchisce ulteriormente. Per dirla in una battuta veramente sintetica, uso le parole di Nazim Hikmet: “non vivere sulla terra come un inquilino o in villeggiatura nella natura, vivi in questo mondo come fosse la casa di tuo padre”.

Lei insieme a Marco Binotto ha scritto il libro ”Manuale dell’identità visiva per le organizzazioni non profit”, ci può parlare di questa esperienza ?

E’ nato per caso, e mai pensavo con i soci dello Studio Idea Comunicazione e con Marco di colmare un vuoto così sentito. Nasce dalla convinzione che il bene va comunicato bene (concetto che promuoviamo con lo slogan/hastag #comunicarebeneilbene), e che gran parte del non profit italiano, sia per motivi culturali che per motivi economici, invece, non fa ancora del tutto.

Le organizzazioni del terzo settore, dalle “grandi” fino a alle più “piccole”, devono compiere un definitivo passaggio culturale: comprendere la strategica importanza degli strumenti della comunicazione e impossessarsene adattandoli alle proprio contesto e alle proprie esigenze.

La soluzione è accostarsi in maniera “laica” alla comunicazione e interpretarla non come il “braccio armato” del marketing aziendale ma come patrimonio di chi fonda la sua attività sulla costruzione di relazioni (come le organizzazioni non profit, che al di la delle loro singole mission, hanno questa comune matrice).

L’esperienza del Manuale, in particolare, è stata molto appassionante sia nella fase della realizzazione che in quella successiva. Non solo abbiamo lavorato benissimo con tutti gli amici che abbiamo coinvolto, ma stiamo incontrando, nei vari appuntamenti in giro per l’Italia, anche molte persone che ci stanno fornendo feedback utilissimi, ci stanno spingendo a continuare nella direzione intrapresa e con le quali stiamo tessendo interessanti relazioni costruttive.

Nel libro si evince l’importanza della comunicazione visiva per le ONG,  quale consigli potrebbe suggerire ad una neo-associazione?

Di non considerare più la comunicazione come la cenerentola del management e, nello specifico, la comunicazione di corporate come la cenerentola della comunicazione. La propria identità, i valori, lo stile di vita, la vision di un’organizzazione va comunicata a partire dai segni visivi, che sono alla base poi di qualsiasi attività di comunicazione che l’organizzazione metterà successivamente in campo. Occorre comunicare bene la propria identità e cercare di farla coincidere il più possibile con l’immagine (nel senso di valutazione, reputazione) che gli interlocutori hanno di noi. Lavorando molto su sé stessi, lavorando sui territori, curando molto le relazioni, valutando costantemente come si viene percepiti. Raccontando, ma soprattutto raccontandosi. Questa strategia avrà sicuramente degli effetti positivi anche sulle a attività di relazioni pubbliche e raccolta fondi che, soprattutto in tempi di crisi, costituiscono una priorità per ogni organizzazione.

RGB basewww.ideacomunicazione.it
www.faustolupettieditore.it/catalogo.asp?id=191

 

Edmondo Papanice 

Ufficio Comunicazione di HALP

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